Verso Est…
Il racconto di viaggio del nostro collaboratore Khush che ha attraversato via terra Cina, Beluchistan, Asia Centrale, le catene montuose del Pamir, Hindu Kush, Altai, Urali e Caucaso, Mongolia, Siberia, Pakistan, Iran, India, Afghanistan, Armenia, Georgia, Siria, Giordania e Turchia
di Khush Pier Felice Finocchi
Parlami dell’esistenza di mondi lontanissimi, di civiltà sepolte, di continenti alla deriva. Parlami dell’amore che si fa in mezzo agli uomini, di viaggiatori anomali in territori mistici…
Così recita una canzone di qualche anno fa ed in quelle parole c’è tutto quello che per me è viaggiare … o quasi.
Primo passo
Mi viene da dire che tutto sia cominciato in una millecento in viaggio tra Potenza e Genova e poi tra Varese e la provincia di Salerno.
Negli anni sessanta erano realmente dei viaggi di giorni e giorni. Ricordo ancora l’esultanza di mio padre quando al telegiornale apprese l’apertura della A1 da Bologna fino a Chiusi.
Secondo passo
Da Varese il sabato si andava a fare spese in Svizzera, allora meno cara per tanti prodotti e a me incuriosiva e meravigliava vedere che al di là di una linea netta tracciata dall’uomo le cose potessero essere diverse, le lingue, le persone, le abitudini e tant’altro.
Questi i miei primi viaggi.
Poi son passati gli anni e ancor giovane cittadino m’incamminavo per campagne, gareggiando con il tempo per giungere fino a quell’altura o per superare quel bosco o semplicemente vedere cosa c’era dopo quel sentiero o prima di quel dirupo, alla ricerca del nuovo, della meraviglia ma sempre con seppur lontana, l’ombra della serata che sarebbe inevitabilmente giunta ed il buio mi avrebbe preso, li, ancora in cammino, ed era comunque sempre un rimandare il ritorno sui propri passi ad un’altra “visione” ad un’altra scoperta…
C’erano poi dei nomi evocatori, nomi di antiche regioni o città, la Colchide, l’Inguscezia, il Kafiristan, la Cilicia, la Bactriana, il Regno di Saba o del Prete Gianni, il Daghestan, la leggenda del Vello d’Oro…ognuno dei quali mi apriva un mondo, un sogno, un viaggio.
Così ho cominciato a viaggiare, prima dentro me, immaginando, sognando…poi…
Sono stato due volte in Cina in motocicletta, partendo da casa e tornandoci ed un po’ spavaldamente ed un po’ seriamente, quando mi chiedono: “ma come hai fatto?” La risposta è sempre la stessa: la mattina quando mi svegliavo, invece di tornare indietro andavo avanti, e pian piano sono arrivato in Cina.
Tutto qui.
Viaggiare o meglio…partire, due cose distinte.
Partire significa per me decidere anche di poter accettare.
Viaggiare significa semplicemente vivere, affrontare la vita, così come ogni giorno si affronta la giornata; guardare, camminare, respirare, sapere non per calcolo mentale ma per la naturalezza delle cose, che quell’uomo, li su quell’altopiano o in quel deserto o ancora su quei monti cosi distanti geograficamente da me, ha gli stessi miei fondamentali bisogni, sa perfettamente cosa serve per vivere.
Io sono uno straniero per lui come lui lo è per me ed è per questo che…siamo sullo stesso piano.
Porsi in questo modo fa si che in quell’attimo, l’altro ti veda e si veda semplicemente per quello che si è: due esseri umani su questo pianeta. E ci si incontra. Non è una strategia, non è un voler essere furbi, sarebbe come mettere il ghiaccio al sole e pretendere che rimanga intatto. E’ semplicemente quello che mi viene. E’ la naturalezza delle cose.
Nell’agosto del 2001 stavo attraversando con tre compagni di viaggio ognuno con la propria moto, la zona tribale del Beluchistan a ridosso del confine afghano seguendo piste e sentieri cominciati in Iran, prima di deserto e poi di montagna, guadando i fiumi laddove i ponti mancavano.
Era oramai buio da un pezzo, eravamo esausti, affamati ed assetati e senza nessuna prospettiva di poter avere conforto ne tanto meno di poter uscire da quella situazione a breve tempo se non in giornate.
Di fronte all’ennesimo fiume ma questa volta troppo grande per poter tentare un guado in piena notte, lo sconforto si stava facendo troppa strada alimentato anche dal fatto che in tutta quell’immensa area qualsiasi uomo è armato, minimo di pistola e normalmente di Kalashnikov.
Avevamo già in giornata ricevuto conforto ed indicazioni da vari gruppi di persone armate e visto anche che nei rari e minuscoli spacci in villaggi di montagna, a fianco delle sigarette e dei biscotti si vendevano per una decina di dollari anche bombe a mano.
Mentre tutto questo passava nella mente, alcune luci si stavano avvicinando assieme a delle voci, scendendo dalla scarpata verso il fiume. Giunti ad una decina di metri vedemmo un gruppo di uomini… e li senza un attimo di esitazione fui io ad andare incontro a loro e dopo un saluto abbassando leggermente il capo con la mano sul cuore, sempre a gesti gli dissi che avevamo bisogno di dormire e bere.
Ci fu un attimo di disorientamento tra loro che non dimenticherò mai e che ancora mi commuove, ma ci fu anche la consapevolezza di trovarsi di fronte a quattro uomini che avevano bisogno e lo manifestavano a loro, la decisione fu presa in un attimo, il loro capo mi guardò negli occhi e senza dire una parola mi fece cenno di seguirli.
Questa è stata sicuramente un’esperienza estrema se vogliamo, ma nel piccolo, nel quotidiano la storia per me è la stessa.
E più si va “avanti” e più ho incontrato persone così.
Nell’ultimo viaggio che ho fatto con Ishana la mia compagna, abbiamo attraversato 15 paesi, percorsi circa 38.000 km di cui 8.000 di totale fuoristrada, il tutto in cinque mesi.
Siamo passati dall’Europa occidentale al soffocante clima della depressione caspica, ai bollenti e aridi deserti centro asiatici, alle cime innevate del Pamir e Hindu Kush alle calde e fresche valli mongole, abbiamo attraversato la taiga, finché in autunno siamo giunti alla già fredda Siberia, per attraversare poi, dopo la repubblica Calmucca in Russia (praticamente un pezzetto di Mongolia in piena Europa), le montagne del Caucaso, entrare in Georgia, costeggiare il confine Ceceno, poi in Armenia e da li nello stupendo Iran dove la prima notte siamo stati ospitati a dormire in una Moschea, poi Turchia e Grecia.
Difficile raccontare questo vissuto, alcuni posti ed incontri avuti.
Ci sono luoghi su questo stupendo pianeta dove i silenzi sono assoluti, avvolgenti.
E più sei li, immobile a guardare, ad ascoltare il silenzio, più lentissimamente qualcosa si trasforma e si mostra; e sempre più lentamente e delicatamente sembra di entrarci dentro poi ti accorgi ancor più lentamente che ne sei parte ed ancora più pacatamente che ne sei sempre stato parte. Allora hai come una leggerissima scossa, un formicolio, sale un calore, il respiro diventa nutrimento…e lacrime di gioia iniziano a solcare il viso.
Ci sono altri luoghi dove vedi letteralmente le montagne in Vita. Sono li, presenti, nella loro possenza, in ascolto, testimoni di un qualcosa di antichissimo ed immenso, con il loro movimento impercettibile, proporzionato alla loro età. Il cuore batte, caldo, profondo e tutto il tuo essere è come se si riconoscesse, come se si rincontrasse con qualcosa lasciato tanto tanto tempo prima.
Ci sono poi altri luoghi resi inaccessibili dalle mutevoli situazioni politiche.
Roccaforti di una follia che ancora viviamo.
Territori magari intravisti decenni fa in qualche telegiornale in bianco e nero, con quelle immagini traballanti o solo sentiti.
Le sponde del fiume Ussuri tra Cina e Russia, il canyon che divide l’attuale Armenia ex Urss dalla Turchia e quindi una volta il blocco sovietico dalla nato, il Monte Ararat tra Iran, Turchia ed Armenia, dove le visioni sono speculari, da una parte Kor Virap una stupenda ed attivissima chiesa, con l’Ararat di sfondo e di là l’Islam, Ishak Pasha con lo stesso sfondo ma rovesciato.
E’ stata una forte emozione l’aver potuto girare liberamente tra le montagne del Pamir, attuale Tajikistan, sino a giungere ad un osservatorio astronomico ex sovietico a ridosso della frontiera cinese, e da li vedere e quasi toccare le cime del Mutzag Ata.
Ancor di più costeggiare il corridoio del Wakhan dove per centinaia di km scorre l’Amu Darya, l’antico Oxus e dall’altra parte della sponda vedere l’Afghanistan i villaggi, i bambini salutare, gli uomini e le donne sui muli e nei campi; fino a giungere in un luogo totalmente inaccessibile fino a poco tempo fa ed in parte tuttora, la fine del corridoio del Wakhan dove si toccano Pakistan, Cina, Afghanistan e l’attuale Tajikistan (ex Urss), dove tutte le strade…terminano. Confine costruito arbitrariamente a fine 800 da Russi e Inglesi, ognuno teso a difendere i propri interessi, chi nel continente indiano chi in Asia centrale.
Un’intensa ed antica emozione ho provato anche a Garni in Armenia, dove sorge un tempio greco del primo secolo dopo Cristo fatto costruire dal Re Tiridate con i soldi avuti nel suo viaggio a Roma da Nerone.
Il tempio si affacciava su quello che era l’Impero Persiano e questa universalità, Romani, Greci, Persiani questa antica grandezza, si respira ancora. Se si chiudono gli occhi e se ne ha il desiderio, si è come proiettati a quei tempi…tre grandi civiltà in un unico punto!
Anche nell’antico forte romano di Gonio, nella Georgia occidentale sulle sponde del mar Nero, l’antica Colchide le emozioni sono forti o sulla citadella di Aleppo dove dall’alto con il vento ed il sole negli occhi ho creduto di vedere l’immenso esercito mongolo che tra il 1.200 e il 1.300 l’assediò.
Il lago di Aral, con le navi arenate nella sabbia con l’acqua distante centinaia di km.
E ancora…e le persone…
Era il 1995 quando scendevo in motocicletta dai monti del Tauro e già vedevo la pianura che poi si fonde con la Siria dove ero diretto.
Ero da poco passato attraverso un rastrellamento da parte dell’esercito turco alla ricerca di fiancheggiatori curdi.
Indimenticabile la durezza di alcuni di quegli uomini, i loro sguardi, il silenzio, la consapevolezza della loro forza.
Come aver toccato la crudeltà pur non vedendola.
Chilometri più avanti mi fermo a far benzina.
La ragazza alla stazione di servizio aveva i capelli e gli occhi più neri della notte più nera. Il vento, pur s’ era ottobre era caldo e secco ed alzava una polvere finissima che a tratti faceva chiudere gli occhi.
Le dissi in turco… Bu küçük bahçede, sen en güzel çiçek vardır
…il fiore più bello in questo piccolo giardino sei tu. Il vento era sempre più forte e continuo ed a tratti sembrava che senza reggersi l’uno all’altro ci potesse portar via.
Era l’estate del 1997 quando ci guardavamo fissi negli occhi parlando con Zulfiqar, impiegato alle poste di un remoto villaggio nelle montagne pakistane con tre figli e la casa a dieci chilometri di mulattiera, alto, calmo, curioso ma discreto, elegante nei gesti come chi fa parte realmente del suo mondo, una tessera consapevole dell’insieme e quindi della necessità e dell’importanza dell’essere tessera; ho quasi paura a scriverlo: un uomo felice.
Poi in Uzbekistan conobbi Zamira, con un figlio, Timur (Tamerlano) che ogni giorno aveva un livido nuovo, regalo del marito, ex volontario in Afghanistan, ora auto condannato a vodka perpetua.
Poi Merhan, laureato di Tehran, che da mesi si tortura il cervello sul restare nel suo paese che ama profondamente o provare l’avventura europea della quale conosce benissimo i limiti.
E come non portarsi ancora dentro lo sguardo complice e compiaciuto di Zarif che nel lontano 1976 ad Herat in Afghanistan era possessore di uno dei rari impianti stereofonici di quel paese, ruotava la manopola del bilanciamento del suono a destra e sinistra molto lentamente con fare un po’ magico, sornione, come di colui che sa e che meravigliato vuol meravigliare ed è convinto di poterlo fare.
E Farid? Un contadino iraniano che prima ancora di salutarci si precipita verso gli alberi per raccoglierne il frutto e aprendo le mani ce lo porge dandoci il benvenuto?
E ancora…anzi basta così, credo che sia abbastanza ne sarei inebriato.
Ogni persona, luogo, ogni ricordo è come una piccola goccia che scende dal cuore, carica di calore, piena, ricca, forte, come un distillato di umanità, di bellezza, di vissuto, di grandezza, un inno alla Vita… un Elisir.
Grazie a tutti voi.
Dedicato ad Enzo
Vuoi ripercorrere questo viaggio?
Offriamo la possibilità di condividere alcuni dei percorsi vissuti, dall’attraversamento delle montagne del Pamir, con relativi dintorni, ad un giro del Kirghizistan o della catena del Caucaso e ancora le città storiche uzbeke, Khiva, Bukhara e Samarcanda e tanto altro. Per pianificare un eventuale viaggio rivolgersi sia a Re Nudo sia all’autore.
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