Transgender politicamente scorretta di Veet Sandeh
Non è stato e continua a non essere facile fare coincidere la ricerca dell’identità con la ricerca della verità. Fin da piccola ho sempre avuto la sensazione di non essere omologata allo status quo che mi veniva imposto dall’alto delle istituzioni come famiglia, religione e politica.
Posso dire che la mia vita è stata e continua ad essere da ribelle.
Finché non ho maturato che essere una ribelle era sinonimo d’individualità mi sono sentita inadeguata a vivere in questo mondo, come se tutte le responsabilità del mio essere non omologata mi facessero sentire sbagliata. Ho dovuto attraversare profonde valli e fitte foreste dove l’annullamento di me stessa era l’unica soluzione per uscire dalla profonda depressione, cercare nuovi percorsi per sfuggire alle abitudini e all’apatia indagando dentro me stessa e ricercando attraverso i miei lunghi viaggi in India delle risposte alla mia unicità.
Ho scalato montagne d’ingiustizie, pareti di rifiuto, sentieri inesplorati dove a ogni passo c’era il rischio di cadere in un dirupo, non nego che ci sono caduta qualche volta ma ho sempre trovato il modo di risalire e rimettermi in cammino. Con stupore ho raggiunto alte vette dove potevo vedere la meraviglia dell’esistenza, ascoltare la voce del silenzio in un inimmaginabile dipinto di un tramonto, attimi dove io sparivo fondendomi con il tutto, e il più delle volte sentivo di non meritare tanta grazia.