PER LE ALLEANZE TERAPEUTICHE CONTRO LA SCIENZA ANTISCIENTIFICA
In Terris ha interpellato Ivan Cavicchi, docente di Sociologia delle organizzazioni sanitarie e Filosofia della medicina all’università Tor Vergata di Roma, tra i più noti esponenti del mondo della sanità contro il decreto Lorenzin.
Pubblichiamo ampi stralci dell’intervista.
A cura della Redazione
Prof. Cavicchi, dopo il passaggio al Senato ritiene che il decreto Lorenzin sia stato migliorato?
Sono state tolte le cose più odiose ma l’operazione di trasformare i vaccini in un gigantesco tso (trattamento sanitario obbligatorio) è sostanzialmente passata. Con questa operazione siamo regrediti di colpo a quando la sanità era solo un problema di ordine pubblico e il ministero che se ne occupava era guarda caso il ministero degli Interni. Questo significa che una società che oggi per la sua complessità si definisce post (moderna, industriale, ideologica) rispetto a quella che è stata fino ad ora è obbligata a vaccinazioni di massa come se fosse rimasta ferma ai tempi della peste, del vaiolo, della febbre gialla, cioè come se fosse una società sottosviluppata. Un anacronismo che pagheremo caro.
Cosa intende dire?
Fermo restando il valore indiscutibile dei vaccini, il modo di fare profilassi non dovrebbe essere mai una variabile indipendente dalla complessità sociale con la quale ha a che fare. Quindi non i vaccini, in quanto tali, ma il modo di usarli deve essere adeguato: prima di tutto al grado di emergenza reale (se c’è una epidemia o un rischio conclamato di epidemia l’obbligo è giustificato); quindi al grado di cultura di una società (oggi siamo nell’epoca del web e l’analfabetismo non c’è più non possiamo trattare la comunità come un “ gregge”); infine al livello di responsabilità sociale delle persone (se le persone posso convincerle con degli argomenti chiari non serve obbligarle come se fossero degli irresponsabili).
E secondo lei oggi tutte queste condizioni non ci sarebbero?
Oggi epidemie non ci sono (a parte il problema del morbillo), la gente è tutt’altro che analfabeta e coloro che si battono per la libera scelta non sono degli irresponsabili che rifiutano la scienza ma si sentono giustamente più responsabili di prima, perché sanno di più, hanno più dubbi, e vogliono delle garanzie. Sono anni che la meniamo con l’empowerment. Vuole una definizione? “La conquista da parte del cittadino in relazione con la medicina della consapevolezza di sé e del controllo sulle proprie scelte, decisioni e azioni”. Ora che sui vaccini le persone rivendicano empowerment facciamo finta di non sentire? Quindi anche nel caso dei vaccini la scienza deve essere interpretata dalla politica che deve definire, rispetto alla propria società, il modo più adeguato per usarla e il modo più adeguato vuol dire non scientificamente adeguato ma culturalmente adeguato. La legge è scientificamente inappropriata e culturalmente anacronistica.
Il governo ha sbagliato periodo storico. Bisognerebbe interrogarsi sul perché.
Il fatto che siano state apportate delle modifiche, testimonia l’utilità della battaglia intrapresa contro questo testo?
Non c’è alcun dubbio. Il decreto è stato posto come intangibile, quindi dogmatico giustificato da una emergenza nazionale. Al contrario esso si è rivelato tangibile e l’emergenza invocata per giustificarlo strumentale.
Poi la battaglia ha comunque fatto emergere due grandi questioni che sino
ad ora erano sottomesse a un silenzio scientifico a dir poco imbarazzante:
la questione della farmacovigilanza e quella degli effetti collaterali.
A coloro che si riempiono la bocca con la scienza devo far notare
che non sono state le manifestazioni degli scienziati a imporre all’attenzione pubblica tali questioni ma quelle della gente comune.
Comprendere il mondo degli effetti collaterali che è tutt’altro che marginale, significa disporre di un sistema per la loro rilevazione puntuale
e tarato sul breve, sul medio e sul lungo periodo.
A proposito di farmacovigilanza, oggi come stanno le cose?
Attualmente questo sistema non esiste nel senso che laddove c’è, è minimo
e molto disomogeneo, per cui quello che sappiamo è molto meno di quello
che dovremmo e potremmo conoscere. La battaglia non è stata contro i vaccini ma contro il decreto ed ha posto alla politica e alla scienza una questione rispetto alla quale i bugiardini, allegati ai vaccini, tradiscono la loro malafede precauzionale che è quella della sicurezza e delle garanzie. Scusate se è poco. La battaglia contro il decreto ha fatto emergere un soggetto sociale nuovo che in realtà è all’opera da almeno mezzo secolo cioè ci ha fatto capire che la figura tradizionale del paziente non c’è più e che al suo posto oggi abbiamo l’esigente, come da anni mi ostino a definirlo tale nei miei libri.
Quindi sarebbe l’esigente alla base del dissenso definito “no vax”, cioè una figura inedita di cittadino?
Oggi la società rispetto a ieri si fida molto meno dei medici di prima
e lo dimostra il continuo crescere del fenomeno del contenzioso legale e di quello definito medicina difensiva. Oggi siamo cioè in una società dove i medici hanno paura dei loro malati e si difendono dalle loro responsabilità professionali come possono. È da poco che è stata approvata una legge
nel tentativo di proteggere i medici dalle rivalse degli esigenti. Ma se è così, perché meravigliarsi se l’esigente pretende di essere coinvolto nella somministrazione dei vaccini? L’esigente è tale nei confronti della medicina sia essa chirurgica, clinica o profilattica. Ma questo governo non sa neanche chi sia l’esigente e continua a trattare il cittadino come un paziente quando paziente non è più. Un grave errore strategico che ricadrà sulla testa dei medici accentuando i problemi di sfiducia nei loro confronti e nelle istituzioni nelle quali operano. Oggi i medici sono terrorizzati e non parlano per paura di essere radiati o comunque di avere complicazioni professionali.
L’Italia resta comunque il primo Paese al mondo a prevedere un numero così elevato di vaccini obbligatori. Le ragioni risalgono al 2014, anno in cui nell’ambito della Global Health Security Agenda avvenuto alla Casa Bianca, fu scelto il nostro Paese come capofila per le strategie vaccinali a livello mondiale. Come interpreta questo antefatto?
Si tratta di un accordo importante sul quale non c’è stata nessuna trasparenza. Non può il governo imbarcarsi in una impresa come quella dei “vaccini tso” senza chiarire il suo rapporto con questo accordo. A me personalmente fa piacere che il mio Paese sia capofila nel mondo nella lotta alle malattie, ma vorrei capire meglio perché è stata scelta l’Italia e non un altro Paese.
Perché siamo una eccellenza scientifica? Perché siamo un Paese di frontiera rispetto all’emigrazione? Perché il governo ha stipulato contratti con le case farmaceutiche proprio per fabbricare vaccini? O perché l’Italia ha una situazione politica tale da permettere che passino leggi che di fatto sono come una gigantesca sperimentazione di massa? E quindi l’Italia serve come apri pista per una vaccinazione globale di massa? Cioè la punta avanzata di quella strategia inventata dalle aziende farmaceutiche e che si definisce disease mongering che consiste non solo nell’inventare nuove malattie per specularci sopra ma di curare i sani prima ancora che i malati.
Quindi lei attribuisce alla mancanza di trasparenza molti dei dubbi che sono venuti alla gente comune?
La mancanza di trasparenza ha fatto sorgere legittimamente molti dubbi sulla strumentalità del decreto, sulla inutilità dell’obbligo, sul numero esagerato di vaccini da trasformare in tso, sulla epidemia che non c’è.
Cioè sulle sue forzature. Se liberiamo il decreto da commistioni di vario tipo,
le sue forzature normative sembrano inutili ma se al contrario le consideriamo anche solo in via ipotetica, le forzature si spiegano tutte.
Nel corso di quel convegno oltreoceano, il ministro Lorenzin affermò che gli “imponenti flussi” migratori che interessano l’Italia rendono necessario “rafforzare i controlli nei confronti di malattie endemiche riemergenti come polio, tubercolosi, meningite o morbillo”.
Forse, tra le varie ipotesi che lei ha prima menzionato, quella dell’immigrazione è la chiave per comprendere questo decreto?
Non lo so. Però è vero che il ministro abbia dichiarato queste cose.
È una di quelle questioni che sarebbe stato meglio chiarire subito.
Il problema immigrazione dal punto di vista della profilassi non va negato anche se sino ad ora non abbiamo dati che ci dimostrano che causa sui sono cresciute le malattie da contagio. È possibile in linea teorica che l’ingresso
in un Paese vaccinato, di centinaia di migliaia di persone non vaccinate, crei problemi inediti di profilassi. Ma se così fosse sarebbe necessario differenziare le politiche di profilassi. Non ha senso imporre dieci vaccini ad una popolazione già abbastanza vaccinata (cioè con una discreta soglia di gregge) solo perché entrano nel Paese persone non vaccinate. Si predisponga un sistema mirato rivolto a queste persone. E poi si chiami l’Europa a partecipare perché è evidente che se fosse così l’Italia diventerebbe un centro di vaccinazione per l’ingresso degli immigrati in Europa.
Si è molto discusso di presunti conflitti d’interessi che farebbero da sfondo al decreto Lorenzin. La trasmissione La Gabbia Open avrebbe dimostrato che chi produce vaccini finanzia le società che hanno elaborato il Piano di Prevenzione Nazionale Vaccinale…
Guardi, cerchiamo di uscire dall’ipocrisia e di non nasconderci dietro al solito sospetto e alle solite illazioni. Da sempre non esiste nessuna demarcazione netta tra gli interessi legittimi dell’industria farmaceutica, e gli interessi personali dei medici ricercatori e meno che mai quelli delle pubbliche istituzioni deputate alla ricerca e più in generale alla tutela della salute e con quelli della politica. Al contrario esiste una forte sovrapposizione tra questi interessi rispetto ai quali i vaccini non fanno eccezione. Per cui mi passi una battuta popolare in questo campo “il più pulito ha la rogna”.
I principali sostenitori della legge sui vaccini sono nei board scientifici
delle più importanti aziende farmaceutiche produttrici di vaccini.
Le industrie farmaceutiche da sempre nei modi più diversi finanziano
con discrezione la politica, cioè singoli personaggi, o singoli partiti
e in tanti modi che vanno, dalla semplice sponsorizzazione di un libro al finanziamento di un evento. Attenzione, tutte cose lecite, ma comunque
tutte forme di finanziamento surrettizio cioè tutte forme di lobbying.
È certo che dietro la legge sui vaccini per le ragioni dette vi siano
i condizionamenti dell’industria farmaceutica e che questi condizionamenti passino attraverso i così detti “scienziati” e attraverso la politica che nei confronti dei soldi non si è mai tirata indietro. Per cui ripeto quello che ho sostenuto in un libro qualche anno fa (Medicina e sanità, snodi cruciali – 2010), che il conflitto di interesse esiste eccome, che non serve nasconderlo e meno che mai criminalizzarlo, ma va ammesso e reso trasparente.
Il conflitto va reso una relazione tra interessi ammettendo
un gioco di reciprocità legale.
Coloro che dicono che i vaccini costano poco e che per l’industria non sono tutto questo gran guadagno mentono sapendo di mentire.
L’obbligatorietà significa fatturati certi a scala di milioni di persone.
Per chi produce l’anti-meningocco fa differenza il vaccino obbligatorio o consigliato. La differenza consiste tra un mercato più grande e sicuro
e un mercato più piccolo e insicuro. E poi non si dimentichi che i vaccini obbligatori sono a carico della spesa pubblica, cioè sono pagati dallo Stato non dal cittadino.
Venendo agli aspetti più propriamente medici, esistono adeguate ricerche scientifiche sulle controindicazioni dei vaccini?
Come le ho accennato prima a proposito delle lacune della farmacovigilanza, siamo solo all’inizio. Il punto debole, perché esistono pochi studi a livello internazionale, riguarda il medio-lungo periodo cioè il rapporto tra vaccini
e malattie, non più quindi solo effetti collaterali. Dai primi dati sembra che
vi siano delle correlazioni significative ma di strada ancora bisogna farne tanta. Lei comprende che la questione delle malattie correlate ai vaccini se fosse confermata costituirebbe un bel paradosso cioè dei farmaci usati per prevenire le malattie che in certi casi e nel tempo causano altre malattie.
L’informazione vaccinale è adeguata nel nostro Paese?
No, semplicemente. Fare informazione significa credere nelle persone e questa legge vede le persone come nemiche della salute. Essa ha stanziato una miseria per informare la gente sui vaccini, tanto per darci un contentino.
Io credo che i vaccini dovrebbero rientrare in un comune dovere morale,
che è quello della salute. Ormai rivendicare il diritto alla salute non basta più. Un diritto non equilibrato da un pari dovere è destinato ad essere nel tempo insostenibile. Ma il dovere alla salute, quale obbligo morale, non può essere imposto per legge, ma deve essere sostenuto da quello che Kant chiamava l’autonomia della razionalità. L’informazione quindi va rivolta all’autonomia della razionalità del cittadino ma questo non è possibile con quattro spot pubblicitari in televisione. Informare oggi significa favorire l’incontro della scienza con la libertà e la responsabilità, quindi più che informare parlerei di formare. E questo non si fa né con le chiacchiere né con
i bruscolini. Mi ha colpito un’intervista fatta da Sarina Biraghi (La Verità – 5 agosto 2017) ad una pediatra che diceva che prima della legge in cinque minuti lei riusciva a spiegare ai genitori l’esavalente, mentre adesso non basta un’ora, perché la legge ha centuplicato la diffidenza della società nei confronti della medicina già mortificata, ad ogni piè sospinto, con i continui casi di malasanità. Oggi la gente, cioè “l’esigente” vuole sapere, vuole sapere cose certe, vuole chiarezza, si fida poco, vuole esercitare davvero il consenso informato, è molto più cosciente che incosciente e questo mi pare decisamente un passo in avanti.
Spesso chi nutre perplessità sul decreto Lorenzin è accusato di essere un nemico del progresso scientifico, contrario ai vaccini in quanto tali. Può spiegare qual è la sua posizione?
La mia posizione è chiara: sono ormai quarant’anni che lavoro ad una idea
di salute pubblica, che difendo l’art 32 sul diritto alla salute, che mi batto per una medicina della relazioni, cioè una medicina scientifica post positivista,
in grado di conoscere la malattia attraverso la conoscenza del malato, impresa impossibile da fare senza delle alleanze terapeutiche.
Tocca alla medicina adeguarsi al malato perché il tempo in cui era il malato ad adeguarsi alla medicina è finito da un bel po’.
E sulla polemica che giustifica tutto con gli imperativi della scienza, che mi dice?
Quanto alla scienza siamo all’oscurantismo cioè siamo tornati a prima di Galileo. La vera anti-scienza non è rivendicare la libera scelta e il consenso informato cioè la possibilità di mettere a confronto le verità scientifiche con le verità personali, ma è chi in nome della scienza rifiuta di confrontarsi con la società. Cioè di conciliare più tipi di verità. Oggi la verità scientifica deve fare i conti con le verità empiriche delle persone, con le loro singolarità, con le eccezioni, con una complessità che proprio perché tale resta per gran parte fuori da uno standard di conoscenza. Tornando ai vaccini, fin dall’inizio – credo di essere stato il primo – ho proposto un progetto obiettivo sul morbillo e fin dall’inizio ho preferito la filosofia del Veneto che è quella della consensualità e dell’informazione a quella dell’Emilia Romagna che è quella dell’obbligatorietà. Quella del Veneto la trovo adeguata al nostro tempo storico, quella dell’Emilia Romagna no.