L’incesto e la maledizione dello sdegno
L’abuso sessuale sui bambini, in caso di incesto, è spesso la conseguenza di un dare e prendere non compensato. In questi casi una costellazione ricorrente è che la moglie era già stata sposata e ha una figlia. Se sposa un secondo uomo che non ha ancora figli, si verifica uno squilibrio. L’uomo deve occuparsi della bambina, anche se non è sua figlia; deve dunque dare più di quanto riceva. Può anche darsi che la donna pretenda espressamente che lui lo faccia. Così però la differenza tra dare e prendere, tra guadagno e perdita diventa ancora più grande. Ora in questo sistema regnerà una irresistibile esigenza di compensazione e il modo di compensare più a portata di mano è che la donna porti all’uomo la figlia. Questo è molto spesso il retroscena delle dinamiche familiari in caso di incesto.
In questo caso è evidente che c’è un dare e un prendere non compensati, tuttavia anche nel caso di altre forme di abusi sessuali su bambini, sono quasi sempre in gioco entrambi i genitori: la madre nel retroscena e il padre in primo piano. Finché tutto questo non viene visto come un insieme, non c’è soluzione.
Quale sarebbe dunque la soluzione?
Per prima cosa parto dalla premessa che ho a che fare con la vittima e che il mio interesse deve essere quello di aiutare la vittima. Come terapeuta non posso essere un persecutore degli aggressori, poiché questo non è di alcuna utilità per la vittima. Se una donna, per esempio, in un gruppo racconta di essere stata abusata sessualmente dal padre o dal patrigno, io le dico di immaginarsi la madre e di dirle: “Mamma, per te lo faccio volentieri”. A un tratto c’è un’altra correlazione. E che deve immaginarsi il padre e dirgli: “Papà, per la mamma lo faccio volentieri”. A un tratto la dinamica nascosta viene alla luce e così nessuno può più comportarsi come prima.
Se la situazione è ancora attuale e se ho a che fare con uno dei genitori, per esempio con la madre, allora dico alla madre in presenza della figlia: “la figlia lo fa per la mamma”, e lascio che la figlia dica alla madre: “per te lo faccio volentieri”. Allora l’incesto ha termine. Non può più continuare. Se è presente l’uomo, stimolo la figlia a dirgli: “lo faccio per la mamma, per compensare”. A un tratto la figlia si vede buona e si sente buona. Non deve più sentirsi colpevole.
In secondo luogo aiuto la figlia a ritrovare la sua dignità, perché lei vive l’incesto – per dirla in modo brutale – anche come una profanazione. Allora racconto la storia di un certo Johann Wolfgang, che ha scritto la poesia: “un giovane vide una Rosellina nel prato”, che finisce così: “il giovane selvaggio spezzò la Rosellina nel prato; la Rosellina si difese e lo punse, ma a nulla valsero i suoi gemiti e i suoi sospiri e le toccò soffrire. Oh Rosellina, Rosellina, Rosellina rossa, Rosellina nel prato.” Poi rivelo un segreto: la Rosellina profuma ancora!
Terzo: per molti bambini l’esperienza è anche eccitante. Ma non devono fidarsi di questa percezione positiva, poiché in coscienza viene loro detto, in particolare dalla mamma, che è male. Allora sono confusi. Alla bambina deve essere concesso di ammettere che è stato eccitante, se così è stato. Nello stesso tempo ha anche bisogno di essere rassicurata: anche se è stato eccitante, la bambina è sempre innocente. Una bambina si comporta da bambina quando è curiosa ed è disposta a fare questa esperienza, ma comunque rimane innocente. Se in queste circostanze l’eccitamento viene demonizzato, l’esperienza sessuale viene vista in una strana luce, come se fosse qualcosa di tremendo. Invece, con l’incesto, un’esperienza necessaria viene soltanto anticipata. Per dirlo in modo frivolo: una cosa che rientra nell’esperienza umana, per la bambina avviene troppo presto. Se dico questo alla bambina lei si sente sollevata.
Quarto: c’è l’idea che in seguito la bambina potrebbe essere inibita nel suo sviluppo. Ed è vero.
Infatti, a causa dell’atto sessuale – non lo si può considerare una consumazione, ciò andrebbetroppo lontano, ma attraverso questa esperienza sessuale – si instaura un legame tra la ragazzina e l’aggressore. Per questo in seguito la bambina non potrà avere un nuovo partner se non onora il primo.
Se l’esperienza viene demonizzata e l’aggressore perseguitato, per la bambina sarà più difficile farlo.
Se invece può entrare in sintonia con questa prima esperienza e con questo primo legame, allora li porta con sé in una nuova. Così questa esperienza può essere tenuta da conto e risolta. Trattarla con sdegno impedisce la soluzione e danneggia la vittima.
Claudia: Se l’esperienza però non è stata né eccitante né bella per la bambina, che cosa ne è del legame?
Hellinger: Il legame si instaura lo stesso. A prescindere dal fatto che l’esperienza sia stata eccitante o dolorosa, la bambina ha in ogni caso il diritto di essere adirata con l’aggressore, perché comunque ha subito un torto. Deve dire all’aggressore: “Tu mi hai fatto un torto e io non te lo perdonerò mai”. In quel momento sposta la colpa sull’aggressore, si delimita e se ne tira fuori. Non c’è bisogno che manifesti la sua rabbia eccitandosi e facendogli dei rimproveri. Questo la legherebbe ancora di più all’aggressore. La chiara delimitazione invece la rende libera da lui. La lotta e i rimproveri non possono portare la soluzione. Soluzione è una parola con un doppio senso. La soluzione è sempre uno staccarsi – da, uno sciogliersi. Nella lotta non c’è soluzione perché essa lega. Un’altra cosa ancora è molto importante, da un punto di vista sistemico. Secondo la visuale sistemica, il terapeuta deve sempre schierarsi dalla parte di chi viene demonizzato. Quindi, quando si lavora a uncaso del genere, si deve dare un posto all’aggressore nel proprio cuore.
Dagmar: Nel mio?
Hellinger: Nel tuo cuore. Altrimenti non puoi trovare una soluzione neanche per la vittima. Devi riconoscere che l’aggressore è irretito. In che modo non lo sai. Ma se potessi vedere l’irretimento, riusciresti a capirlo. Avresti allora una chiave del tutto differente per poterlo trattare. Te l’ho spiegato così?
Johann: Mi meraviglia che il bambino o la vittima non perdonano l’aggressore. La situazione può sciogliersi ugualmente?
Hellinger: Perdonare è un atto di arroganza. Non spetta al bambino farlo. Se egli perdona è come se potesse prendere la colpa su di sé. A nessun essere umano è permesso di perdonare, a meno che non ci sia una colpa reciproca. Allora perdonandosi ci si concede reciprocamente un nuovo inizio. Il bambino deve dire: “è stato terribile, lascio a te le conseguenze, e nonostante ciò faccio della mia vita qualcosa di buono”. Se il bambino, sebbene sia stato vittima di un abuso sessuale, in seguito instaurerà un buon rapporto di coppia, sarà un sollievo anche per l’aggressore. Se invece in seguito la vittima lascerà che le cose gli vadano male, questo comportamento sarà anche una vendetta nei confronti dell’aggressore. I retroscena sono ben diversi da come appaiono le cose in primo piano.
Claudia: Se l’abuso per il bambino è stato molto eccitante, forse accadrà che egli si avvicini anche ad altri adulti e che per questo sia di nuovo rimproverato, mettendo in moto una valanga di “ questo non è permesso e questo è male”.
Hellinger: Se una bambina si accosta in questo modo ad altri adulti, è come se dicesse ai genitori: “sono una puttana e sono io la causa dell’abuso; non c’è bisogno che voi vi sentiate la coscienza sporca”. E’ di nuovo l’amore della bambina che agisce. Se glielo faccio presente, lei sa di essere buona anche in questocaso. Si deve sempre cercare l’amore. Poi si trova anche la soluzione.
Dagmar: Allora se non sento alcun amore, si tratta di pornografia infantile.
Hellinger: Questa specie di obiezione mi toglie l’accesso alla cura.
Dagmar: Non capisco.
Hellinger: Bisogna contare in ogni caso sull’amore, come dato primario. Posso vivere un avvenimento come qualcosa di tremendo, senza condannare nessuno. Devo sempre cercare dove sciogliere un irretimento. Soprattutto per la vittima. Se questa si tira fuori da tutto, lascia agli aggressori la colpa e le conseguenze delle loro azioni e fa qualcosa di buono per sé – se ci riesce – allora per lei il passato è superato e risolto. Ma non appena si aggiunge a tutto questo uno stato di eccitazione, nel senso di “ora dobbiamo consegnare l’aggressore al boia”, allora alla vittima viene chiusa la strada verso la soluzione. Un terapeuta che si lascia prendere da un simile stato di eccitazione danneggia molto il paziente.
Porto un esempio. Una volta, mentre lavoravo con un gruppo per psichiatri, una di loro raccontò, sdegnata, di avere una paziente che era stata violentata da suo padre. Le dissi: “Metti in scena il sistema”. Poi le chiesi di aggiungere anche se stessa nel posto che secondo lei era quello giusto. Lei si mise vicino alla paziente. Tutti, nel sistema, si sono irritati con la terapeuta e nessuno si fidava più di lei. Poi l’ho messa vicino al padre. Allora tutti si sono calmati, mostravano fiducia in lei e la paziente era molto sollevata.
Non si può escludere nessuno da un sistema, fatta eccezione per un crimine molto grave, e l’incesto solo raramente lo è. La soluzione consiste nell’inserire di nuovo tutti quelli che sono stati esclusi. Questo riesce più facilmente se si prende in considerazione non solo il padre, quale aggressore in primo piano, ma anche la madre, quale aggressore segreto, l’eminenza grigia dell’incesto.
Se il terapeuta si allea solo con la vittima e non con il sistema nel suo insieme, il suo lavoro farà solo peggiorare le cose per tutti. Questa è la conseguenza, che va molto lontano.
Pubblicato nel numero 02 di Renudo