Hai mai guardato negli occhi chi mangi?
L’idea di dedicare un numero di Re Nudo alle tematiche vegane è maturata durante un Convegno Festival a Lucca dove intorno allo stand di Re Nudo avevo vegani e animalisti con cui ho potuto condividere durante tutto il tempo. Non penso sia onesto dire che questo mi ha fatto diventare vegano ma questo è stato l’inizio di un approfondimento nei giorni a seguire per comprendere appieno le ragioni della scelta vegana.
Ho vissuto momenti di intenso travaglio interiore e per settimane mi sono posto problemi e interrogativi. Alla fine ancora una volta mi è sembrato centrale il punto che ho sentito spesso ripetere da Osho a proposito del fumo, della carne, dei vizi e dei condizionamenti in genere: non si tratta di abbracciare una ideologia perché la si ritiene giusta ma si tratta di diventare consapevoli delle nostre scelte. Si tratta di conoscere i fatti, le implicazioni. Questo è il presupposto per un processo evolutivo della persona che prima o poi come presa di coscienza cristallizzata porta alla scelta di lasciare cadere i vizi, uscire dai condizionamenti anche alimentari.
Nel nostro Paese anni fa ci sono state mobilitazioni popolari contro la caccia ma non c’è mai stata una mobilitazione popolare contro gli allevamenti intensivi e a batteria, contro la tortura che viene inflitta agli animali per una logica iperproduttiva. Nessuna mobilitazione ma anche nessuna informazione seria.
Partiamo da qui. Ci fa tenerezza il daino che fiuta tardivamente il pericolo e viene abbattuto per il piacere del cacciatore ma non pensiamo alla sofferenza immane che vive la gallina, il vitello, il maiale o l’agnello allevati in vere e proprie fabbriche di esseri viventi costretti a convivere in spazi e condizioni che non possono che essere ricondotti ai lager. Come se gli animali allevati in cattività e destinati al macello non dovessero avere pari dignità degli animali liberi nei boschi. Invece è molto più crudele accettare che esseri viventi vengano accatastati come merce, immobilizzati per mancanza di spazio, rimpinzati per l’ingrasso e poi squartati, appesi ai ganci ancora vivi, buttati svolazzanti in mostruose macchine tritacarne, spesso senza quasi mai vedere un cielo, un prato, un albero. Senza mai aver vissuto una vita vera fatta di emozioni, affetti, vita da branco libero nei boschi.
Paradossalmente i daini e i cinghiali spesso affamati a caccia di cibo e acqua ma liberi di vivere una vita seppure a rischio, sono in realtà esseri di gran lunga privilegiati a confronto di quelli nati nelle fabbriche di carne. La paura di venire uccisi in una battuta di caccia è un’emozione specchio di una realtà dove l’animale è libero di vivere una sua vita di affetti che può anche avere momenti di felicità. L’animale nelle fabbriche di carne da quando nasce a quando muore non conosce che sofferenza, dolore, privazioni,tristezza, noia.
Mentre il daino e il cinghiale nei boschi riposa, corre, cerca il ruscello con gli altri suoi simili, in quegli stessi momenti, ore, mesi, anni ci sono dei corpi con sembianze diverse da quelle selvatiche rinchiusi in gabbie sovraffollate come le galline a cui viene tagliato il becco perché impazzendo per la mancanza di spazio vitale si attaccherebbero l’un l’altra. O come le mucche da latte tenute immobili e munte e nutrite incessantemente e dolorosamente come una infinita catena produttiva che cessa solo con la morte. O come i maiali, qualche volta li avrete visti nei camion d’estate ammassati senz’acqua deportati al macello, spesso scuoiati vivi.
Perché si è arrivati a queste barbarie che privano gli animali da allevamento di ogni Diritto? Perché c’è una cultura nutrizionista al soldo dell’industria animale che ci ha fatto credere che se non si mangia carne tutti i giorni o se non si beve latte ogni mattina o se non si mangia l’ovetto quotidiano, ci viene a mancare la proteina, il calcio rischiando anemie e debolezza muscolare. E’ solo da pochi anni che anche nel mondo “carnista” si è cominciato a dire che magari la carne sarebbe meglio una volta o due alla settimana,che i latticini vanno assunti con parsimonia per via dei calcoli, del fegato e delle difese immunitarie in generale, fino a riconoscere recentemente che chi assume regolarmente prodotti di derivazione animale ha il 30% in più di possibilità di contrarre il cancro. Si, come i fumatori. Però siamo ancora ben lungi da arrivare alle politiche antifumo con le scritte che avvertono dei rischi.
Eppure se due più due fa quattro, anche in base a quello che inizia a riconoscere la scienza “carnista” si dovrebbe arrivare a scrivere sui prodotti di derivazione animale: nuoce alla salute, assumere con cautela. O come per i farmaci, indicando gli effetti collaterali.
Vi è poi una stretta correlazione tra questo consumo smodato di carne, latticini e uova e l’aumento di produzione degli allevamenti intensivi. Questo è il primo livello: cambiare la cultura alimentare carnivora che nella sua parte meno compromessa con le logiche di mercato, suggerisce il consumo di carne un paio di volte la settimana e per il resto non nasconde più l’importanza di aumentare il consumo di frutta e verdura e cereali o legumi. Se questa cultura carnivora emergente si trasformasse in campagne informative per la salute dei cittadini forse si potrebbero chiudere gran parte dei lager o cambiarne radicalmente le forme, forse basterebbero gli allevamenti allo stato brado dei suini, gli allevamenti all’aria aperta per i bovini, e per le galline gli allevamenti a terra bio non quelli dove le galline vivono una sull’altra in capannoni di cemento con la luce artificiale sempre accesa .
Basterebbe un po’ di onestà da parte di chi sa e non dice per capire quanto per la salute dovrebbe ridursi almeno del 70% il consumo dei derivati animali. Questo corrisponde al primo livello: la difesa della salute interno alla cultura onnivora. Insieme la difesa dei Diritti deglianimali d’allevamento, così come è successo con la caccia. Per legge dovrebbe essere obbligatorio che gli animali almeno per 6 mesi all’anno vedano la luce, che almeno ogni essere vivente possa avere uno spazio di vita intorno a se come avviene negli allevamenti biologici.
Così anche una politica espressione del mito della proteina animale potrebbe coniugare il Diritto alla salute dei cittadini con il Diritto degli animali da allevamento ad avere una vita dignitosa. Dev’essere la stessa cultura e politica “carnista” a comprendere che questo inferno dantesco in cui sono obbligati a vivere gli animali da allevamento deve essere regolamentata, ma regolamentata davvero e controllata davvero, non come adesso dove ci sono regole insufficienti e quasi mai rispettate.
La questione etica
Vi è poi un secondo livello che è quello che appartiene maggiormente alla cultura olistica, del bio, dei processi evolutivi. Ed è questo livello che dovremmo nutrire, al di là delle questioni di salute o dell’equilibrio ambientale. Già perché come riportiamo nello scritto di Michele Riefoli la quantità di acqua e di terreno che sono necessari per produrre la carne è inimmaginabile: per un kg. di carne si consumano più di 3000 litri d’acqua e 12mq di terreno.
La scelta etica tuttavia prescinde da tutto ciò. Si pone in una diversa prospettiva:da sempre gli uomini hanno mangiato gli animali all’inizio l’uomo mangiava anche i suoi simili, ma il processo evolutivo si è fermato? No. Mai come nell’epoca contemporanea la cultura “carnista” è stata messa sotto accusa. La scelta vegana è una scelta etica che come conseguenza aumenta le difese immunitarie ed è quindi ottima per la salute. Ma la ragione prima è che un essere umano evoluto, sapendo che non è assolutamente necessario uccidere o lasciare che venga ucciso un altro essere vivente per nutrirsi, si dovrebbe interrogare perché continua ad alimentare questa catena di morte.
La cultura ci ha condizionato, il piacere guida queste nostre scelte. Ecco il piacere. Riconoscere che lasciamo che vengano uccisi esseri viventi per il nostro piacere è già un primo passo. Noi ricercatori spirituali facilmente oggi riusciamo a vedere come si muove il circolo perverso della politica e dell’informazione ma più difficilmente riusciamo a vedere quanto siamo ancora prigionieri di un modello di vita secolare. Osservare questo nostro condizionamento è il primo importante passo. Liberarsi dalle abitudini non è facile ma è parte del processo evolutivo. Aprirsi alla conoscenza di una nuova cultura alimentare che non propone solo privazioni di qualcosa ma che suggerisce e propone alternative anche piacevoli è un secondo passo.
La cultura vegana può essere assunta come un percorso evolutivo che qualcuno sta già compiendo. Le avanguardie culturali sono sempre esistite, spesso sbeffeggiate dai molti e rispettate dai pochi. Questo numero di ReNudo è un segno di rispetto per quelli che hanno compiuto questo passo, vuole essere un gesto di incoraggiamento per chi vuole mettere in discussione abitudini consolidate. E’ un processo di disintossicazione da mettere in atto, come per il fumo, come per le droghe, come per i farmaci, come l’alcool.
Ma qui in più c’è in ballo la vita di altri esseri. Pensiamoci su. Per quel che riguarda il primo livello,quello dei Diritti animali che impone regolamentazioni, informazione e anche normative europee la palla passa alle forze politiche emergenti, ai politici più sensibili perché prendano coscienza che non fare nulla su questo fronte è una scelta di inciviltà che nuoce alla salute dei cittadini e ci pone sul piano del Diritto nei confronti degli animali alla pari di quella dei nazisti nei confronti degli uomini.