Cure Palliative – Racconto di una scelta di vita
di Cinzia Ricetto
La prima volta che la dott.ssa Maria Costanza mi spiegò il significato del termine palliativo, ero una giovanissima tesista di medicina, affascinata dalla terapia del dolore, ma completamente scevra di medicina palliativa.
“Cinzia” mi disse, mentre camminavamo rapidamente da un corridoio all’altro dell’Ospedale Molinette di Torino, tra una consulenza di terapia antalgica e una valutazione oncologica, “il termine palliativo, non significa inutile, o alternativo, come nel pensiero comune… palliativo deriva da pallium: sai cosa significa pallium in latino?”
Risposi velocemente per non fare brutta figura, e attingendo dalle reminescenze del liceo dissi:
“Mmm mi sembra coperta dottoressa…”
“No, non coperta, ma mantello! La storia narra che, San Martino, patrono delle Cure Palliative, in un suo viaggio incontrò, per la sua strada, un pellegrino, affaticato, infreddolito, che mendicava aiuto e che il santo, che viaggiava con un grande mantello per essere protetto dalle intemperie, glielo donò…”
In quel momento ci fu silenzio, ci guardammo, la mia tutor voleva vedere la mia reazione, non dissi niente… arrivammo in ambulatorio ed iniziammo le visite.
Pensai tanto a questa storia nei mesi di tirocinio successivi, feci ricerche, assistetti a tante visite con lei e discutemmo tanto delle cure palliative.
Mi sembrava di aver percepito che ci fosse qualcosa di speciale in quella definizione, ma rimasi comunque dell’idea che la cura del dolore sarebbe stata da quel momento in poi il filo conduttore della mia professione. Solo due anni più tardi, capii che la cura del dolore non sarebbe stato il mio solo interesse, anzi, quando conobbi il mondo dell’Hospice e delle Cure Palliative non mi allontanai più. Da otto anni ormai sono un medico palliatore, o palliativista come si dice più comunemente. Il termine palliatore, però, mi piace molto di più: il palliatore è il “portatore di Cure Palliative”, o meglio, colui che porta all’Altro, il famoso Mantello Protettore e quindi protezione.
La Medicina Palliativa ha come scopo la presa in carico globale delle persone affette da malattie inguaribili e delle loro famiglie, e l’accompagnamento nel percorso di fine vita.
In questi anni praticando il mestiere del Palliatore, ho incontrato tante persone, tante storie… e sì tante vite e tante morti… perché si comprenderà bene dalle parole precedenti che, se la medicina palliativa si occupa dei malati inguaribili, ovviamente si trova a contatto con la loro vita, ma anche con la loro morte.
Per me essere a contatto con le persone morenti, ormai è divenuto quotidianità. In genere quando si racconta questo mestiere, le persone intorno o si rattristano, o si dicono ammirate, o rispondono più semplicemente “Che brutto! Non so come tu faccia!” Quello che penso io è semplicemente che, come dicevo sempre al mio primo capo, Capo Carlo, questo è per me il lavoro più bello del mondo!
Ho imparato che esiste alternativa alla guarigione: esiste il prendersi cura, esiste alleviare la sofferenza, esiste a volte il soffrire insieme, esiste il sostegno, esiste lo “stare”, in questo tempo in cui il fare sembra l’unica possibilità sempre! Ma esistono anche le cicatrici di alcune ferite che decidiamo di sopportare: perché il “portatore del Mantello” per proteggere deve scoprirsi lui.
Ho imparato che la vita dell’Altro, quasi sempre racconta anche qualcosa della mia vita ed infine ho imparato che la morte dell’Altro, mi riporta sempre al mio timore della morte e della mia finitezza. Penso di avere ancora molto da imparare, penso che quel Mantello da portare, e anche da offrire, sia una grande responsabilità, ma per ora continuo ad essere convinta che questo sia davvero il mestiere più bello del mondo.
anna buonocore
26 Agosto 2018 @ 09:44
Ho letto questo racconto di vita mentre cercavo di poter conoscere un medico palliatore (scelgo questo termine che prima non avevo) per me. Il lavoro di aiuto alle persone che affrontano il loro fine vita è prezioso e reso ancora più efficace da una postura di ascolto della storia di vita oltre quella di malattia. Non si spegne un cancro ma una persona che ne è stata colpita, ed alla persona occorre dare un orizzonte di senso che l’aiuti ad attraversare il confine fra l’esserci e la fine. Il mio bisogno personale però è di capire se un medico palliatore, se la dottoressa può aiutarmi nella cura del glaucoma da cui sono affetta. So che la cannabis aiuta ma gli oculisti preferiscono i farmaci, diversi colliri che uso ma non mi tolgono i bruciori, gli occhi arrossati e talvolta il dolore. Sopportabile certo, però se potrei far fronte con la cannabis, senza drogarmi, perché no? Grazie per