Il lamento inascoltato
Intorno all’antispecismo
Antonio Priolo che ci propone un’intervista con il filosofo Leonardo Caffo, attivista antispecista
“Più volte ho pensato che, per quanto riguarda il suo comportamento verso gli animali, ogni uomo è un nazista.”
Isaac Bashevis Singer
La visione antropocentrica del mondo che genera inevitabilmente lo sfruttamento animale trova i presupposti su paradigmi filosofici che pongono l’uomo sopra un trono morale che lo eleva ad unica unità di misura, misurabile e misurante delle vicende dell’universo.
Questo atteggiamento esclusivo impedisce, coi pretesti utilitaristici dell’obbligo economico-alimentare e delle necessità scientifiche (vedi sperimentazione animale), o nel migliore dei casi ritarda una presa di coscienza piena e globale dell’umanità e della relazione nonviolenta tra umani e non umani.
Per approfondire questi temi interpelliamo un filosofo, Leonardo Caffo (Catania, 1988). Attivista antispecista, lavora presso il Labont: laboratorio di ontologia dell’Università degli studi di Torino ed è fondatore e segretario della onlus Gallinae in Fabula. È inoltre Fellow dell’Oxford Centre for Animal Ethics e ha fondato e diretto le riviste Animal Studies e Rivista Italiana di Filosofia Analitica Jr – dirige attualmente, con Valentina Sonzogni, la rivista “Animot: l’altra filosofia”. Tra i suoi libri, La possibilità di cambiare. Azioni umane e libertà morali (Mimesis, 2012), Il maiale non fa la rivoluzione (Sonda, 2013), Margini dell’umanità (Mimesis, 2014), Naturalism and Constructivism in Metaethics (Cambridge Scholars Publishing), An Art for the Other. Animals in Art and Philosophy (Lantern Books, 2015), Il bosco interiore (Sonda, 2015) e A come Animale (Bompiani, 2015). Scrive per Huffington-Post Italia e collabora a vario titolo con molte riviste come A rivista Anarchica, Lettera Internazionale e L’Indice dei libri del mese. Ha scritto anche di narrativa pubblicando il romanzo Finalmente è la fine del mondo (Zona, 2012).
Antispecismo quale chiave antropologica per riflettere sui limiti e sulle aberrazioni dell’umano?
L’antispecismo è il modo attraverso cui noi filosofi contemporanei contestiamo l’antropocentrismo: l’idea che l’umano si trovi in una qualche posizione ontologica privilegiata rispetto al resto delle forme viventi. Dopo il fallimento della rivoluzione copernicana e del darwinismo l’antispecismo è l’unica teoria che ci resta per rendere questo mondo uno spazio di convivenza pacifica tra diverse forme di vita. L’antropocentrismo è ciò che causa e ha causato le peggiori violenze fatte in nome del sessismo e del razzismo, dello specismo e dell’omofobia. L’idea che esista un solo tipo di umano degno di considerazione è l’errore che sta alla base di tutti gli altri fraintendimenti: l’antispecismo non è solo la rivoluzione del futuro, ma anche la nostra ultima occasione.
Sei stato il creatore di una nuova corrente filosofica: Antispecismo debole. Di cosa si tratta?
Di una forma di antispecismo che mette in comune il nucleo isomorfo delle altre teorie sull’antispecismo. Si tratta di porre al centro gli animali e l’animalità affinché l’antropocentrismo, questo ancora una volta il punto, possa essere colpito dove più nuoce. Se l’umano riesce a fare qualcosa che va al di là di se stesso, questo è l’antispecismo debole, l’antropocentrismo è definitivamente sconfitto.
Animalismo o antispecismo? Ed è in questione l’amore per gli animali?
Se si capisce il senso sono sinonimi. Solo che l’animalismo, basta ragionare sul linguaggio, ne è la visione positiva: propone un’idea di mondo e non ne contrasta un’altra come, appunto, l’anti-specismo. Non è in questione l’amore: non si possono amare tutti gli animali, come non si possono amare tutti gli uomini. Non serve amare per rispettare: se rispetti solo chi ami sei un’egoista. E l’antispecismo è la filosofia più altruista che sia mai stata prodotta – il paternalismo non c’entra nulla. Uno sguardo sul mondo che fa della diversità un valore: posso non amarti o capirti, ma non posso fare a meno di rispettarti. Tutte le forme di vita si intrecciano e comunicano fra loro: la violenza gratuita non può essere mai giustificata.
L’animale autobiografico e il tema della differenza tra umano e non umano.
Umano e non umano: termini da superare. Esistono solo gli animali, di cui noi siamo solo una forma. L’essere si può dire in molti modi, diceva Aristotele, e l’antispecismo è la pratica di questa teoria. La differenza è ovunque, anche tra me e me, ieri ero ciò che oggi non sono, e così domani. Dobbiamo avvicinarci alla diversità con stupore.
Violenza istituzionalizzata nei confronti dell’animale non umano e sistema economico. Quali relazioni?
L’economia piega ogni forma di etica possibile: l’animalità è la base del capitalismo. L’antispecismo è una rivoluzione complessiva: come l’anarchia, che ne è parente stretta, propone un superamento definitivo del concetto di Stato e un ritorno a società più piccole e organizzate. Società in cui l’animale non è oggetto ma soggetto. Sembra utopia? Cazzate: prima o poi andremo comunque in quella direzione, perché la devastazione di un futuro senza progresso etico reale non può che condurre a questo scenario. Arrivarci prima, anticipando i tempi e dando a ogni vita la possibilità di esistere, è la scommessa del futuro. Jacques Derrida, durante il premio Adorno che gli venne assegnato poco prima di morire a causa del suo tumore, sosteneva che la questione animale è la questione del futuro: a noi il compito di rendere pratica effettiva tutto ciò.
Assimilazione concettuale dello sterminio dell’umano “altro” (ebreo, zingaro, omosessuale) allo sterminio animale (mattatoio). C’è una logica in questo?
Ovviamente: è sempre l’antropocentrismo – un male metafisico, epistemologico e soprattutto etico. Se c’è un umano archetipico che regola l’esistente, tutto ciò che si allontana da questo modello viene massacrato: e allora diverse etnie e sessi, orientamenti e culture, distrutte sotto l’egida del progresso e dell’esportazione di democrazie o dittature. L’animale è l’opposto di questo archetipo dell’uomo bianco, maschio e occidentale, che regola le politiche attuali: la macchina antropologica di cui parla Giorgio Agamben e che inserisce nella morale qualcuno solo escludendo altri. Solo liberando gli animali, soprattutto quelli che vivono dentro di noi, con noi, ovvero la nostra animalità, possiamo fermare tutto questo dolore.
Il dolore animale e la sua comprensione. Come spiegare?
Il dolore è singolare: possiamo capire il nostro ma mai quello altrui (la mente non è trasparente, si dice tecnicamente). Questo vale tra “animali umani e tra animali non umani”, per usare categorie pessime ma orientative. L’unico modo di capire il dolore è il rispetto: sappiamo che ogni vita animale soffre, biologicamente e non solo. Non basta? Chi siamo per piegare questo mondo ai nostri vizi? Perché dobbiamo risolvere il non senso, le nostre ansie e paure, in altro dolore? Perché dovrei impegnarmi a spiegare ciò che, semplicemente, è la base di ogni forma di vita – ovvero la sofferenza?
In alcuni tuoi scritti hai posto l’accento sulle differenze di approccio di particolari interpretazioni filosofiche: dall’antispecismo all’etica animale, dall’ecologia profonda all’etica della terra. Puoi approfondire questo concetto?
Si tratta di comprendere che cose simili non sono uguali, semplicemente. L’ecologia ha a cuore gli ecosistemi e non i singoli animali, l’etica animale pone fine al dolore animale ma non ragiona su politica e ontologia. L’antispecismo, invece, è una riforma radicale e assoluta: avanti anni luce rispetto allo status quo. Spinge al progresso su ogni dettaglio, su ogni speranza, su ogni scenario. Antispecismo è realismo e libertà, è etica e nuovi modi di conoscenza. Tutto il resto, compresi gli altri movimenti che giustamente citi, sono forme di vista locali su un immenso mattatoio che solo gli antispecisti possono vedere, capire, e dunque distruggere.
Teoria e prassi dell’antispecismo. I maiali faranno la rivoluzione?
No. Qualche imbecille confonde resistenza e rivoluzione. Mi sono anche stancato di spiegare che se gli animali sono massacrati da noi, solo noi li possiamo salvare. Possono piangere e urlare, gridare e scalciare: ma se nessuno è in grado di ascoltarli, e di spezzare le loro catene, tutto ciò è inutile. Nel mio Il maiale non fa la rivoluzione (Sonda, 2013) spiego ampiamente tutto ciò: spetta a noi, per una volta, fare qualcosa che sia solo e soltanto per gli animali, al di là dei nostri interessi, ribellandoci per loro e dopo, ovviamente, insieme a loro. Questa è la fine dell’antropocentrismo in cui, purtroppo, molti animalisti vivono ancora immersi pensando di averlo superato. Penso appunto a riviste come Liberazioni e Animal Studies: nella prima ero redattore dalla fondazione e la seconda l’ho addirittura fondata e diretta io. Sono scappato a gambe levate: c’era più specismo e antropocentrismo in certi animalisti che in qualsiasi macello di periferia.
Antispecismo e alimentazione. Quale presente sappiamo. Che futuro stiamo creando?
Nessuno. Col cibo uccidiamo e ci uccidiamo. Mangiamo cose che stimolano tumori e malattie. Tutto è piegato a una logica aberrante: o ripartiamo da zero o ci ritroveremo a mangiare insetti al centro di Milano indirizzati da mode forzate post-Expo 2015, piuttosto che non ammettere che basterebbe diventare vegani per risolvere centinaia di problemi. Forse aveva ragione Nietzsche, e non siamo davvero tutti uguali: alcuni, semplicemente, non capiranno mai. L’educazione delle generazioni future è l’unica speranza come ho cercato di spiegare nel mio libro Il bosco interiore (Sonda, 2015) tutto dedicato a H. D. Thoreau e alla cultura libertaria.
Il tuo percorso filosofico, i tuoi punti di riferimento intellettuali, “spirituali” ed esistenziali.
Sono un filosofo che crede che attraverso l’animalità si possa rileggere il mondo, la cultura più vasta e la filosofia stessa. Ho lavorato molto su Nietzsche e Thoreau, ma anche su Chomsky, Heidegger e Cartesio. Mi interessa comprendere come cambiare le cose: analizzare la differenza tra movimenti, atti ed azioni. Mi piace il teatro di Carmelo Bene, e credo sia un filosofo senza eguali. Cerco di comprendere in cosa l’antropocentrismo falsi il nostro rapporto con la realtà e la conoscenza. Mi piace anche capire in cosa la nostra forma di vita è diversa, ma mai speciale. Analizzare la nostra realtà sociale e la nostra vita mentale in un confronto continuo con l’oriente e le sue filosofie. Trovo spesso più utile una pagina di Tiziano Terzani che una di Gadamer o Vattimo. Credo che la filosofia sia semplicemente un mondo di dare forma al mondo, non cadere in un nichilismo negativo sempre alle porte, e cercare di narrare un’immagine diversa di questo strano animale che si crede simile a Dio ma che poi, alla fine, si trova comunque a cacare come tutti gli altri mammiferi su questa terra.
“Il termine animalismo non dovrebbe esistere, così come non esiste il “donnismo” o il “bambinismo”.” E’ una tua affermazione, come “l’animalista medio è un coglione”. Puoi spiegare meglio cosa intendevi?
Facile: l’animalista medio è davvero un coglione. La portata dell’antispecismo è spesso troppo complessa: richiede silenzio e riflessione. Orde di animalisti che insultano e cercano di capire se le tue scarpe forse, per sbaglio, hanno anche qualche resto di pellame non hanno capito davvero niente. Non c’è niente di speciale nell’essere animalisti: si tratta semplicemente di ripristinare un ordine. Paradossalmente il peggior nemico di chi ha in mente un progetto così potente, nel pensiero che lo esprime, è proprio chi ti dice di aver capito e invece non ha capito un cazzo. Poi va in giro, dice al mondo che di essere diverso, e invece distrugge tutto il lavoro che, con santa pazienza, in molti cerchiamo di fare. O si cambia al vertice, partendo dalla cultura, o avremo solo centinaia di vegani impazziti a cercare cotolette di seitan fingendosi pensatori raffinati, mentre miliardi di animali continuano a esplodere come stelle danzanti a fine vita in un universo che, per definizione, non propaga nessun suono: neanche le urla di dolore.