Osho – L’essenza
Cerca di comprendere la parola essenza; il Buddha si basa moltissimo su di essa. Nella sua lingua è tathata: ciò che è, lo stato di fatto delle cose. L’intera meditazione buddhista consiste nel vivere in questa parola, vivere così profondamente con essa, che scompare e tu divieni l’essenza.
Per esempio, sei malato. L’attitudine “essenziale” è accettarlo e dire a te stesso: “Tale è la natura del corpo”, oppure “Così stanno le cose”. Non creare alcuna lotta, non iniziare a lottare. (…)
E, all’improvviso, avviene un cambiamento; infatti, quando questa attitudine entra in gioco, un cambiamento la segue come un’ombra. (…)
Provaci: se accetti la malattia, inizia a scomparire. Come mai accade? Accade perché quando lotti, la tua energia è divisa; metà dell’energia si sposta nella malattia, metà dell’energia lotta contro di essa. Avviene una frattura, si ha una rottura e la lotta. Quando accetti, quando non ti lamenti, quando non lotti, l’energia dentro di te si integra, ogni frattura viene colmata, e si sprigiona una quantità di energia enorme, perché non esiste più alcun conflitto: lo stesso sprigionarsi dell’energia diventa una forza che guarisce. La guarigione non viene mai dall’esterno.
Tutto ciò che le medicine possono fare è aiutare il corpo a rimettere in azione la sua forza di guarigione. Tutto ciò che un dottore può fare è aiutarti semplicemente a trovare il tuo potere personale di guarigione. La salute non può essere imposta dall’esterno: è il fiorire della tua energia. Questa parola, Tathata, può operare così profondamente da essere efficace con la malattia fisica, con la malattia mentale, e infine con la malattia spirituale; è un metodo segreto che porta al dissolversi di ogni malattia.
Inizia dal corpo, perché è il livello più basso; se hai successo a quel livello, puoi provare con uno superiore. Se fallisci lì sarà difficile salire più in alto. (…) Un corpo è un insieme, un incontro di un’infinità di elementi: quando nasce, tende verso la morte. Ed è un meccanismo complesso, è molto probabile che una cosa o l’altra funzioni male. Accetta, e non identificarti. Quando lo accetti, ne resti al di sopra, rimani al di là. Quando lotti, scendi allo stesso livello. L’accettazione è trascendenza. Quando accetti, sei in cima a una collina. Il corpo viene lasciato in basso. Dici: “Certo, tale è la natura delle cose: e le cose che nascono devono morire. E se devono morire, a volte dovranno essere malate. Non c’è nulla di cui ci si debba preoccupare troppo”(…)
E’ come se tutto questo non stesse accadendo a te, sta semplicemente accadendo nel mondo delle cose. Questa è la bellezza: quando non lotti, trascendi, non sei più sullo stesso livello. Questa trascendenza diventa una forza che guarisce. La stessa cosa accade alle preoccupazioni mentali, alle tensioni, alle ansie, all’angoscia. Una certa cosa ti preoccupa… come mai? Non la riesci ad accettare, per questo ti preoccupa. Vorresti che, in un modo o nell’altro, fosse diversa da com’è. (…) Puoi essere infelice e morire. In questo caso manchi l’intera esperienza, ti sfugge la bellezza che la morte può darti, la grazia che si sprigiona nell’ultimo istante, l’illuminazione che accade allorché il corpo e l’anima si dividono.
Tutto questo ti sfuggirà perché sei troppo preoccupato, e ti aggrappi troppo al passato e al corpo, per cui i tuoi occhi son chiusi. Non riesci a vedere ciò che accade, poiché non puoi accettarlo; pertanto chiudi gli occhi, chiudi tutto il tuo essere. Muori, morirai molte volte, e continuerai sempre a mancare il senso di quell’esperienza.
Se riesci ad accettarla, la morte è meravigliosa; ma solo se riesci ad aprirle la porta con un cuore pronto ad accoglierla, se la ricevi con calore: “Certo, poiché sono nato devo morire. Dunque, il giorno è giunto, il cerchio è completo”. Ricevi la morte come un invitato, un ospite ben accetto, e la qualità di quel fenomeno cambia immediatamente.
All’ improvviso sei immortale: il corpo muore, ma tu non muori. Ora puoi vedere che solo gli abiti vengono dimessi, non tu; solo l’involucro, il contenitore, non il contenuto. La consapevolezza resta nella propria illuminazione; e ora lo è ancora di più, perché nella vita esistevano molte cose che la celavano, nella morte è nuda. E quando la consapevolezza esiste nella sua più completa nudità, ha un proprio splendore: è la cosa più bella che esista al mondo. Ma perché sia così, ci si deve impregnare dell’attitudine ad accettare la natura delle cose. E quando parlo di “impregnarsi”, intendo proprio questo: non si tratta solo di un pensiero mentale, non è una filosofia dello “stato di fatto delle cose”; tutto il tuo stile di vita diventa tathata.
Non ci pensi neppure più, diventa un semplice fenomeno naturale. In quel tathata mangi, in quel tathata dormi, in quel tathata respiri, in quel tathata ami, in quel tathata piangi. Diventa il tuo stile di vita: non devi preoccupartene, non ci devi pensare; è il modo in cui sei. Ecco cosa intendo con la parola impregnarsi: te ne nutri, lo digerisci, scorre nel tuo sangue, scende profondamente nelle tue ossa, raggiunge il battito stesso del tuo cuore. Tu accetti. La parola “accettazione” non è granché, troppo appesantita -a causa tua, non a causa della parola in sé – in quanto tu accetti solo quando ti senti impotente.
Accetti con riluttanza; malvolentieri. Accetti solo quando non puoi fare altro ma, in cuor tuo, ancora desideri altrimenti; saresti felice se tutto andasse diversamente. Accetti come un mendicante, non come un re… e la differenza è immensa. (…) Ti porti dietro tutto quanto! Eri un bambino… e il bambino è ancora presente, lo porti con te. Eri un giovanotto, e c’é ancora, con tutte le sue ferite, le sue esperienze, le sue stupidità… è presente! Porti con te l’intero passato, strato dopo strato: tutto è qui, presente.(…) Perché ti porti dietro tanto peso? Perché, di fatto, tu non accetti mai nulla. Ascolta: se accetti qualcosa, qualsiasi essa sia, non diventa mai un peso; e nessuna ferita vien conservata. Accetti la situazione: allora, di quell’esperienza, con te non porti nulla, ne sei libero.
Attraverso l’accettazione esci da un particolare contesto, quando accetti per impotenza te lo trascini dietro. Ricorda una cosa: la mente si porta dietro, in eterno, qualsiasi cosa non sia stata completata; mentre qualsiasi cosa sia stata completata viene lasciata cadere.(…) Non hai affatto trasceso il passato e, a causa di un passato che grava eccessivamente su di te, non riesci a vivere nel presente. Il tuo presente è un caos a causa del passato; e anche il tuo futuro sarà inevitabilmente un caos, perché il passato diventerà un peso sempre più opprimente. Ogni giorno diventa sempre più pesante. Quando accetti veramente, in questa attitudine di tathata, non esiste alcun rimuginare, né tanto meno sei impotente. Comprendi, semplicemente, che questa è la natura delle cose.
Per esempio, se volessi uscire da questa stanza, uscirei dalla porta, non attraverso il muro, perché tentare di attraversare il muro mi porterebbe solo a sbatterci contro la testa, sarebbe sciocco.. La natura del muro è questa: ostacolare; quindi non si tenta di attraversarlo! E la natura della porta è questa: poiché è vuota, la puoi attraversare. Quando un buddha accetta, accetta cose come il muro e la porta. Passa attraverso la porta, poiché è l’unico modo possibile. Tu, come prima cosa, tenti di attraversare il muro e ti ferisci in milioni di modi. Solo quando non riesci a uscire – schiacciato, sconfitto, depresso, umiliato – solo allora passi attraverso la porta. Avresti potuto attraversare la porta direttamente, fin dall’inizio. Perché hai tentato di lottare con il muro?
Se riesci a guardare le cose con chiarezza, semplicemente non farai cose come questa: trasformare un muro in una porta! (…) Adesso quella soglia non è più aperta per te, è diventata un muro. Non sforzarti, e non sbatterci contro la testa, ti feriresti inutilmente. E quando sarai ferito, sconfitto, perfino la porta non sarà più qualcosa di bello da oltrepassare. Guarda semplicemente le cose: se qualcosa è naturale, non cercare di imporgli nulla di innaturale; scegli la porta, usala per uscire da quel contesto. Ogni giorno tenti, scioccamente, di passare attraverso il muro; di conseguenza ti tendi e vivi in uno stato di continua confusione; l’angoscia diventa la tua realtà esistenziale, l’essenza della tua vita. Perché non guardare i fatti per ciò che sono? Perché non riesci a guardare l’evidenza? Perché i tuoi desideri sono troppo, presenti, continui a sperare contro ogni possibile speranza.
Osservalo: ogni volta che accade qualcosa, non desiderare nulla, perché il desiderio ti porterà fuori strada. Non desiderare e non fantasticare. Osserva semplicemente l’evidenza dei fatti, con tutta la consapevolezza che hai e, all’improvviso, si apre una porta. Allora, non vorrai più passare attraverso il muro, attraverserai la porta, senza farti male… e rimarrai leggero, libero da pesantezze. Ricorda, riconoscere la natura delle cose è una comprensione, non l’accettazione di un destino irrevocabile: questa è la differenza. Ci sono persone che credono nel fato, nel destino. Costoro dicono: “Cosa puoi farci? Dio ha voluto che le cose andassero così. Il mio bambino è morto, questa è la volontà di Dio, e questo è il mio destino. Era scritto, doveva succedere”. Ma, in profondità, esiste un rifiuto; questi sono solo espedienti per abbellire quel rifiuto.
Conosci Dio? Conosci il fato? Sai cos’era stato scritto? No, queste sono razionalizzazioni; pensieri che usi per consolarti. L’attitudine del Tathata non è fatalista. Non chiama in causa un Dio, un destino un fato, per niente. Invita a guardare semplicemente le cose… guardare semplicemente lo “stato di fatto delle cose”. Comprendi, ed ecco che appare una porta, esiste sempre una porta, e tu trascendi. Tathata significa “accettazione con un cuore totalmente aperto”, non è affatto impotenza