Piero Verni testimonia la nascita di una opposizione radicale tibetana alternativa alla “Politica della Via di Mezzo” del Dalai Lama.
Strano destino quello del Governo Tibetano in esilio e del Dalai Lama. Per decenni, circondati dal silenzio o dall’ostilità quasi generale, si sono sgolati a denunciare l’illegale occupazione militare del Tibet e i crimini commessi da Pechino sul Tetto del Mondo. Oltre un milione di morti, distruzione della quasi totalità del patrimonio culturale del Tibet, una repressione feroce del dissenso, completa assenza di ogni genere di diritti umani -politici religiosi sindacali- colonizzazione selvaggia da parte di milioni di cinesi del territorio tibetano. Denunce circostanziate, precise, drammatiche che per molto tempo sono state relegate ai margini della scena politica internazionale. Pochi ci volevano credere e pochissimi erano disposti a prenderle in considerazione. Poi negli ultimi anni la situazione è cambiata. Il numero di voci critiche nei confronti del comportamento cinese in Tibet, e più in generale verso l’intera politica di Pechino, è aumentato e oggi da più parti il gigante cinese è messo sotto accusa. Ma proprio adesso, quando sarebbe molto più facile che in passato stabilire alleanze, arrivare ad ampi settori dell’opinione pubblica, fare fronte contro Pechino, il governo tibetano in esilio e il Dalai Lama hanno scelto quella che chiamano la “Politica della Via di Mezzo” e deciso di percorrere caparbiamente la strada di un dialogo con le autorità della Repubblica Popolare Cinese nella speranza che queste si decidano a concedere ai territori del vecchio Tibet indipendente (vale a dire l’attuale Regione Autonoma del Tibet e le province e prefetture tibetane adiacenti oggi incamerate nelle province del Quing-hai, Kansu, Szechwan, Yunnan) una “genuina autonomia”.
Per raggiungere questo scopo il Dalai Lama e il suo governo hanno fatto, negli ultimi diciotto anni, una lunga serie di concessioni in particolare la rinuncia alla richiesta di indipendenza che ormai il leader tibetano ripete come un mantra in ogni possibile occasione. Nel suo ultimo discorso tenuto a Dharamsala in occasione del 47° anniversario dell’insurrezione di Lahsa del 1959, il Dalai Lama si è spinto ancora più avanti fino al punto di definire i tibetani, “…uno dei principali gruppi tra le 55 minoranze etniche cinesi” e l’accordo del 1951 tra Lhasa e Pechino come un “…accordo raggiunto tra il governo centrale e quello locale” (posizione piuttosto curiosa se si pensa che fino ad oggi quell’accordo è sempre stato denunciato dai tibetani come illegale dal momento che i delegati di Lhasa non solo non avevano il potere di firmare alcunché ma vi furono costretti con la forza). Inoltre, sempre nella medesima occasione, il Dalai Lama ricordava come dopo le discussioni avute a Pechino tra il 1954-55 con Mao Zedong ed altri importanti leader cinesi, fosse tornato in Tibet, “…pieno di ottimismo e fiducia” riguardo al futuro del suo Paese. Purtroppo le cose andarono diversamente e quelle che Marx chiamava “le dure repliche della storia” dimostrarono quanto quell’ottimismo e quella fiducia fossero mal riposte. Per inciso, i dirigenti che tanto avevano impressionato positivamente il Dalai Lama, stavano già da anni mettendo in atto una crudele repressione contro ogni forma di opposizione e dissenso. Infine, nel suo discorso del 10 marzo 2006, il Dalai Lama (ricorrendo ad una scelta terminologica che ricorda alcuni documenti maoisti del periodo della “Rivoluzione Culturale”) parla di “eccessi dell’ultra sinistra” per descrivere quello che avvenne sul Tetto del Mondo tra il 1955 e il 1959.
Però, nemmeno la pubblicazione di un simile documento, sembra aver smosso di un centimetro la dirigenza di Pechino che continua a ritenere il Dalai Lama un pericoloso nemico e continua anche imperterrita a rovesciargli addosso ogni genere di insulti. Invece qualche reazione negativa si è avuta proprio tra alcuni tibetani e gruppi di sostegno al Tibet che ritengono posizioni del genere di nessun aiuto o addirittura pericolose. Sul sito www.tibettruth.com è apparso il seguente avviso, “Pericolo! Autonomia. Nonostante il formale rifiuto della strategia della ‘Via di Mezzo’ il governo tibetano in esilio continua ad essere arrendevole con Pechino e ad ignorare i desideri del popolo tibetano che non vuole un futuro incerto e pericoloso sotto il governo della Cina comunista. Se questa insana politica non verrà fermata sarà la fine per la causa tibetana. Non lasciate morire il Tibet. Cliccate qui per inviare la vostra opposizione al Governo tibetano”.