MINDFULNESS IMMAGINALE: liberiamo la potenza dell’immaginazione
La parola Mindfulness è la traduzione del termine Sati, che in pali (il linguaggio usato dal Buddha) significa “consapevolezza” e “attenzione”, ovvero “attenzione cosciente”. Si tratta di un elemento essenziale della pratica della meditazione buddhista Theravàda. Personalmente, ho avuto modo di riscontrare i benefici della meditazione più di trent’anni or sono quando mi sono trasferita nello Sri Lanka, paese dove il Buddhismo Theravàda si è sviluppato e da dove si è diffuso. Nello Sri Lanka ancora oggi è viva la tradizione dei monaci buddhisti eremiti, i quali abitano i cosiddetti “forest heritage” o “jungle temple”, sostanzialmente dei luoghi sacri nella foresta.
L’incontro col Maestro
In Sri Lanka ho incontrato il mio primo grande maestro orientale, che è stato Michael Williams.
A dispetto del nome inglese, egli era un Tamil, profondo conoscitore di uno yoga ancestrale e sel-vaggio, di tradizione sciamanica. Lo Yoga Sciamanico si trasmette in lignaggi iniziatici da tempi re-moti. Ed è proprio per una questione di lignaggio iniziatico che, dopo che il mio maestro ha la-sciato il corpo, io ho assunto il suo nome.
Eremitaggio Theravàda
Grazie a Michael ho avuto il privilegio di essere accolta in un eremitaggio buddhista Theravàda che ho frequentato per un periodo di circa sei anni durante il mio soggiorno in Sri Lanka. Ancora oggi, almeno una volta all’anno, visito l’eremitaggio abitato da uno dei monaci con cui ho avuto il piacere di formarmi, il Reverendo Gotatuwe Sumanaloka Thero. Dopo il lungo periodo trascorso in Sri Lanka ho avuto poi modo di conoscere in Svizzera il celebre psicoanalista e filosofo James Hillman, che è divenuto il mio grande maestro occidentale.
Tra Occidente e Oriente
Da queste mie esperienze nasce la Mindfulness Immaginale che unisce meditazione buddhista, conoscenze dello yoga sciamanico e la visione immaginale, che è propria del pensiero della psicologia del profondo, in particolare di quello di James Hillman. (Selene Calloni Williams ne parla nei libri “James Hillman, il cammino del fare anima e dell’ecologia profonda”, e “Iniziazione allo Yoga Sciamanico”, entrambi delle edizioni Mediterranee, ndr). L’insegnamento buddhista e la psicologia del profondo si sposano a meraviglia e permettono a noi, che abbiamo una tradizione immaginale occidentale, di assimilare la conoscenza del buddhismo al meglio.
“Guarire” la vita
In numerosi anni di pratica e insegnamento ho avuto modo di appurare che la visione immaginale è una chiave straordinariamente efficace per gli occidentali che vogliono avvicinarsi alla
meditazione; sostanzialmente ne semplifica l’applicazione e ne potenzia i benefici. Oggi è davvero notevole il numero di coloro che praticano, divulgano, insegnano la Mindfulness Immaginale.
Questo per me è un grande incoraggiamento ad andare avanti a diffondere ciò che a me ha dato molto e che credo possa contribuire a “guarire” molte vite.
La meditazione sul respiro
La meditazione, di cui parlo nel mio nuovo libro “Mindfulness immaginale”, è un valido aiuto al fine di sciogliere ansie, angosce e tristezze anche profonde perché ci permette di familiarizzare con la dimensione invisibile dell’anima con la quale l’uomo ha smarrito il contatto. Come? Per esempio attraverso la Meditazione sul respiro. Si rimane immobili nella postura meditativa osservando il respiro nel punto esatto in cui si avverte l’aria toccare il corpo per la prima volta entrando e per l’ul-tima volta uscendo. Questo punto è quasi sempre percepito nelle ali del naso, ma per qualcuno può anche essere sul labbro superiore o alla radice del naso, tra le sopracciglia.
Disturbi, demoni che diventano alleati
Si rimane a contemplare il respiro spontaneo fino a quando qualche disagio, distrazione o fastidio su-bentra nella mente o nel corpo. A questo punto si prende contatto con il disturbo, distogliendo l’attenzione dal respiro e “si nutre” il disturbo con l’attenzione cosciente, ripetendo la formula : “so che sto provando questo …” e descrivendo il disturbo attentamente. Oppure ripetiamo a noi stessi: “so che sto pensando a questo…” o “so che sto provando questa emozione…”. Nella meditazione buddhista come nella psicologia immaginale i nostri mali, disturbi e disagi sono considerati un patrimonio da esplorare consapevolmente. Infatti, se li nutri con attenzione cosciente, i disturbi, che all’origine si comportavano come demoni, divengono i tuoi potenti alleati, permettendoti di sciogliere gli attaccamenti inconsci.
Upadana, gli attaccamenti
Secondo la tradizione buddhista gli attaccamenti inconsci (“upa-dana”) sono 1500: 500 del corpo, 500 dell’emotività e 500 della mente. Di vita in vita, di morte in morte, trasmigriamo nella ruota del divenire allo scopo di sciogliere gli attaccamenti che ci impediscono di vivere nella verità. Generati dalla paura, non ci permettono di sentirci uno con il tutto e creano una divisione tra noi e il resto dell’universo. La meditazione sul respiro ci permette di sciogliere gli attaccamenti in modo molto profondo in quanto il respiro è il principale veicolo della nostra comunione con l’universo: ad ogni espirazione, infatti, il nostro spirito viene emesso e diveniamo uno con il tutto, mentre ad ogni ispirazione lo spirito rientra in noi per permetterci di osservare l’universo dal quale siamo distinti ma non separati.
Sciogliere i fastidi
Se in meditazione riusciamo a stare molto rilassati e immobili nell’osservazione, per esempio, di un fastidio al ginocchio o alla schiena, piano piano il fastidio si scioglie, lasciando al suo posto un’energia di calore che diviene anche forza, ispirazione e apertura ad una visione superiore: abbiamo sciolto i nostri attaccamenti offrendoci all’immobilità, al mistero, al respiro. Ritrovare l’unione con il tutto, sciogliere gli attaccamenti che creano tensioni e aprirsi per essere ispirati: que-sto è l’effetto di “anapanasati”, la meditazione sul respiro. “Il momento per meditare è adesso!”, diceva il mio maestro e me lo diceva in qualsiasi momento.
Meditazione sul corpo
In questa meditazione osserviamo il corpo dall’interno. Nella visione immaginale la materia non esiste come realtà oggettiva, tutto è sogno, immagine. Nel buddhismo, infatti, l’esistenza è “samasara”, illusione, immaginazione, impressione, simbolo mentre Carl G. Jung, uno dei grandi ispiratori della visione immaginale, ha detto che gli organi sono gli dei. Quando, in meditazione, osserviamo il corpo dall’interno ci liberiamo da ogni idea preconcetta riguardo al corpo e approcciamo gli organi con un atteggiamento di fiducia incondizionata. Nell’immaginare il nostro cuore o il nostro fegato o il nostro intestino abbiamo sempre nel retro della mente una affermazione non pronunciata ma molto sentita: “ho fede in te!”. Avere fede negli organi, negli dei, nella natura, negli spiriti è rinunciare al delirio di onnipotenza della mente che vuole avere il potere, il controllo sul corpo, sulla vita e sulla natura. Questa resa è l’entrata nella dimensione del sacro, il sacrum facere, il darsi. Ne conseguono enormi ottenimenti tra i quali certamente quello dell’apertura della visione sottile. Nella capacità di rinunciare al controllo, gli occhi che guardano fuori si chiudono, mentre l’occhio che guarda dentro, il terzo occhio – l’occhio che “vede” l’invisibile – si apre. È una sensazione meravigliosa di comunione con l’anima mundi, l’essenza profonda di tutte le creature e di tutte le cose.
La meditazione sullo scheletro
In questa meditazione contempliamo lo scheletro, dapprima immaginandolo, fino a che si crea la visione reale dello scheletro, ed è meravigliosa. Quando il praticante riesce a “vedere” il proprio scheletro ha la consapevolezza di una splendente e calda luce bianca radiante che può essere vasta come l’intero universo. La meditazione sullo scheletro ci porta ad un grado di verità profonda, ci consente di sperimentare che il corpo non è un oggetto materiale, ma pura coscienza e questa coscienza è energia, luce e gioia. Tutte le meditazioni si concludono con un profondo senso di gioia. Di meditazione in meditazione, giorno per giorno, il praticante aumenta lo stato di eudaimonia. Nella psicologia dell’immaginale il termine eudaimonia, preso in prestito dall’antica Grecia, serve a designare uno stato di felicità profonda dato dal fatto che la persona sta vivendo in piena coerenza con la missione della propria anima, sta facendo ciò che le permette di sentirsi realizzata. Letteralmente eudaimonia significherebbe essere in compagnia di un buon demone. Il demone era per i Greci ciò che per i cristiani è l’angelo custode. La meditazione, aprendo i sensi sottili, ci permette di divenire sempre più sensibili al richiamo del daimon.
Per approfondire https://www.imaginalacademy.org/mindfulness-immaginale/
Il libro “Mindfulness Immaginale” riporta il protocollo della mindfulness immaginale, cosiddetto IMMA, Imaginal Mindfulness Meditation Approach. È un percorso che lega la meditazione allo yoga delle asana, le posture, e al pranayama, lo yoga del respiro. Per conseguenza il protocollo immaginale guida il praticante giorno per giorno ad applicarsi in posizioni fisiche, respirazioni controllate ed esercizi di meditazione la cui combinazione è utile e salutare.In pochi mesi il praticante può essere in grado di sedere facilmente nella postura a gambe incrociate richiesta per una buona meditazione e di prendere contatto profondo con il proprio respiro. Il respiro, infatti, insieme al corpo, allo scheletro, ai colori e alla fiamma è uno dei principali oggetti della meditazione. Ma si medita anche camminando o sulla morte e sul vuoto. Il cammino è intenso e appassionante. Il consiglio è quello di cominciare subito, senza rimandare.