La meravigliosa Terra del Buddha
«Se la mente degli uomini è impura, anche la loro terra è impura, ma se la loro mente è pura, lo è anche la loro terra; non ci sono terre pure o terre impure di per sé: la differenza sta unicamente nella bontà o malvagità della nostra mente». (SND, 4, 5)
Pratico il Buddismo di Nichiren Daishonin da tanti anni. Abbracciarlo è stata la scelta più significativa della mia vita. Questo buddismo è da allora, il faro con cui illumino ogni giorno il mio cammino.
Grazie ad esso mi sono regalata la capacità di guardarmi dentro, scoprendo così quanto le mie sofferenze in realtà abbracciassero sempre più ampiamente quelle degli altri: di ogni creatura sorella, umana e altro da umana, che condivide con me la strana esperienza di una vita terrena. Non c’è pianto, lamento o crisi di odio che io possa davvero ignorare.
Posso affermare con ragionevole certezza che sia stato dunque il Buddismo, attraverso anni di studio e pratica (per quanto sicuramente fallace e soggettiva) a fare di me l’antispecismo che di fatto sono.
Fornendomi le chiavi di lettura con cui ridisegnare la storia dell’umanità, ho potuto immaginarla finalmente liberata dalla propria oscurità più becera, dalle oppressioni che ha saputo generare. Questa mia visione del mondo è antispecismo, proteggendo il semplice – quasi minimalista direi – e pulsante desiderio che ogni individuo senziente possa essere libero dall’oppressione di altri individui, abbia il diritto a vivere ed a godere appieno della propria esistenza indipendentemente da qualsiasi categorizzazione biologica o culturale, genericamente chiamata specie.
Se culturalmente sono stati autori come Karol J. Adams, Massimo Filippi e tanti altri ad aiutarmi nel difficile compito di vedere al di là della coltre oscura specista che inganna l’occhio e l’intelletto, è stato solo il Buddismo a costruire ogni collegamento mancante e ad alimentare in me la fiducia meravigliosi fiori possano emergere dai più putridi stagni, dunque a permettermi di immaginare un futuro diverso e liberato, indipendentemente da quanto fosco ed assurdamente triste sia il presente.
La forza potenziale che spesso ciascuno di noi lascia morire di inedia, nutre in me la determinazione a scatenare un cambiamento e di essere io stessa attraverso la mia forza, a rappresentare la tendenza contraria all’oscurità fondamentale ed a tutta la sofferenza che sento, che percepisco come fosse mia.
Ho conosciuto momenti di vero terrore, quelli in cui per lunghi attimi questa speranza mi ha abbandonato, magari sbattendo la faccia contro l’ennesima truce realtà.
Inspirandomi agli scritti buddisti, ho cercato allora di capire cosa significasse il cambiamento che cercavo e di visualizzare i connotati, come se questo potesse aiutarmi a ritrovare speranza e fiducia.
Ho cercato dentro e fuori di me.
Prima fuori, ovviamente, anche provando a fuggire e nascondermi in luoghi che potessero proteggermi da tutto quel buio che non sempre riuscivo a reggere.
Più volte ho sognato il Tibet, terra che grazie alle mie romantiche visioni alimentate anche da qualche meravigliosa foto scattata in viaggi vissuti intensamente di amici e conoscenti, era l’icona della Terra del Buddha… la terra che tanto bramavo dove finito l’affanno, resta l’essenza e finito il tempo, resta almeno il senso compiuto.
Un luogo che immaginavo essere la mia destinazione, dove avrei finalmente sperimentato come le passioni degli umani possano essere arginate da un potente rispetto per gli individui, per la loro vita, per la madre Terra che ne sostiene l’esistenza. Immaginavo desolate ed eterne lande baciate dal freddo e dall’aridità capaci di accogliere chi sente il desiderio di vedere il Buddha, così che possa sedersi ed abbandonarsi alla propria ricerca, senza essere travolto da assurdi e frenetici doveri imposti da una società ormai completamente cieca e sorda al più elementare richiamo spirituale.
Dunque la Terra del Buddha, quella Terra da tutti sognata e in qualche modo a tutti promessa, dove potersi sentire felici e a proprio agio.
Non potendo recarmi fisicamente in Tibet, ho continuato a cercala, fuori di me, seguendo gli indizi immaginifici di pace, silenzio, quiete, calma, accettazione. Ricordo dunque di avere trovato lo specchio di questa mia immagine della pura Terra in un frutteto in Danimarca, dove recitando il canto del Daimoku mi sembrava di poter trarre energia dall’entusiasmo di quel tripudio di vita vegetale. Ancora in Norvegia, sovrastata dal silenzio e dal verde intenso dei boschi.
Nel deserto marocchino, mi sono stati sufficienti pochi istanti di concentrazione per potermi sentire esplodere verso l’infinito.
L’ho cercata anche nel contatto emotivo con gli altri: nell’amicizia, nella famiglia, nell’amore di madre verso i miei figli.
Questi luoghi però, queste Terre, non sono mai state capaci di placare i lamenti di dolore che sento. Esse, per quanto meravigliose, non sono pure, perché completamente circondate dall’agonia del resto del mondo e delle sofferenze che vi si rigenerano.
Quando cresciuta nella mia ricerca ho accettato la frase di Nichiren, ho anche deciso di sperimentarla fino in fondo, di comprenderla con la mia stessa vita. Essa, ho scoperto, non significa affatto relativismo cosmico tale per cui nell’estasi personale si può percepire gioia e purezza anche dove non c’è. Al contrario, e perfettamente spiegato da Nichiren, implica una relazione strettissima tra gli individui e il loro ambiente, tale per cui basta osservare l’ambiente per desumere lo stato del cuore e della mente di chi, dotato di potere, vive quel luogo.
«… cambiare i principi su cui si basa il vostro cuore e ad abbracciare l’unico vero veicolo, la sola buona dottrina. Se lo farete, il triplice mondo diverrà la terra del Buddha, e come potrà mai declinare una terra del Buddha? Tutte le regioni nelle dieci direzioni diventeranno terre preziose, e come potrà mai essere distrutta una terra preziosa? In un paese che non conosce declino, in una terra che non conosce distruzione, il vostro corpo troverà pace e sicurezza e la vostra mente sarà calma e indisturbata. Dovete credere alle mie parole e rispettarle»
Noi umani, per l’innato e potenzialmente anche tremendo potere che possiamo esercitare, siamo direttamente responsabili della purezza nostro ambiente e dunque responsabili della possibilità di trasformarlo nella preziosa Terra del Buddha. Questa terra dunque non è visibile e non è ipotizzabile fino a che non sia giunta la sua manifestazione, perché è riflesso della potente mente degli umani purificati oppure direi io, estinti. Prima, dunque, deve avvenire la purificazione della mente, successivamente si scoprirà quale immagine, lo specchio che è l’ambiente, potrà riflettere.
La Terra del Buddha allora, è una potenzialità dentro di me. Osservare il mio ambiente e tutto il dolore stratificato che lo soffoca è solo lo specchio attraverso il quale ho la certezza che sono ancora distante dalla meta, ma anche la fonte della determinazione a non fermarmi, a bruciare ancora di passione, fino al termine del mio cammino.
Quando recito il mantra, la prima parola che pronuncio è Nam (dedico), ovvero una promessa. Ma a fare cosa? Cosa significa dedicare o dedicarsi al Sutra del Loto?
Nel tempo ho compreso che significa dedicare la mia vita a fare emergere il loto dal fango, non solo cercando dentro di me la purezza che si riversi nella Terra, ma molto di più: è la promessa di trasformare questa Terra nella Terra del Buddha.
Ogni giorno apro la mia vita alla sofferenza, per sapere dov’è, quant’è, per trovare intuizioni attraverso la pratica, su come provocare la trasformazione. Mi chiedo molto semplicemente dove non mi sentirei libera e a mio agio nel sedermi a recitare la promessa di un Bodhisatva ed immediatamente mi appaiono i macelli. Quale sublime meditazione è possibile tra le urla e le suppliche di creature indifese che vengono uccise per un vezzo? Con quale ipocrisia potrei mai chiamare un simile luogo la Terra del Buddha? Poi giungono alla mia mente i territori di guerra: nessun luogo dove regna sovrana la paura di una morte violenta e crudele può essere la manifestazione della Terra del Buddha. Così, veloci, scorro come foglie spinte dal vento i campi di concentramento, i kamikaze, i muri invalicabili, i disperati migranti, gli allevamenti, le discariche, gli inceneritori, le centrali nucleari, le morie nei mari… ed ognuno di questi orrori si ricostituisce come parte di quanto c’é ancora da fare per mantenere la mia promessa. Quella promessa è Buddismo. Quella promessa è antispecismo.